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Le parole blu - un libro di Marina Torossi Tevini

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‘LE PAROLE BLU’

un libro di Marina Torossi Tevini - Campanotto Editore 2010

 

‘Le parole blu’ sono quelle che disciogliamo nel nostro parlare quotidiano con le quali cerchiamo di convincere noi stessi, sebbene siano pur degne di considerazione, se non altro perché sottolineano certe nostre attitudini nel relazionarci con gli altri. Parole che verosimilmente abbiamo apprese da letture scolastico-universitarie pregne di letteratura classica ma, anche, dai quotidiani e dalle riviste e, perché no, dai fumetti come dalla cartellonistica pubblicitaria e dall'informazione radio-televisiva.

Quelle stesse parole che usiamo come concessioni fatte al nostro essere e/o sembrare accolturati sotto forma di citazioni, reiterazioni, corrispondenze ecc. e riformulate per ampliare il nostro linguaggio descrittivo-narrativo, e dare così un senso compiuto alle 'frasi' della nostra oralità. Frasi che, fino a un certo tempo (di scolastica memoria), venivano contrassegnate con un segno ‘blu’, contrapposte ad altre invece sottolineate in ‘rosso’ (con la punta opposta della matita), che s’imponevano allo sguardo come catastrofiche del nostro discorso intellettivo-concettuale.

Ciò per quanto ci fossimo impegnati a far capire agli altri (prof giudicanti) dell’esistenza di un ‘inenarrabile’ che pure avremmo voluto esprimere fra le righe della nostra concettualità; ma che di fatto spariva dentro gli spazi lasciati bianchi che solo apparentemente avrebbero dovuto sembrare vuoti. Mentre, al contrario, (e lo scopo era disperatamente spontaneo), promettevano un potenziale conoscitivo e dimostrativo del nostro sapere, in quanto (pensavamo) ci avrebbe permesso di inserirci nel dialogo ‘aperto’ con gli altri.

Il contrasto fra le parti, seppure in qualche modo disgiunto dalla forma colloquiale, sia che fosse narrativo o affermativo, interrogatorio o speculativo,  invero serviva ad esprimere una qualche considerazione che, di fatto, ci apparteneva e ci rappresentava, inquanto pur sempre improntato su un potenziale comunicativo. Potenziale che, in qualche modo, andava comunque considerato, sia che fosse qualunquista o nichilista, costruttivo o de-costruttivo; sia che fosse allargato e quindi aperto a nuove ipotesi costruttive.

Del resto ci si rende conto di quanto si abbia bisogno delle parole, soprattutto quando, in mancanza di contatti diretti, si aggiunge l’impossibilità di comunicare con qualcuno, dacché l’ansia della solitudine, il decadere di certezze e del senso di sicurezza interiore. Al contrario, lo scambio di parole diventa di per sé salutare per l’attività cerebrale e, quindi, per lo sviluppo mentale degli individui, (specialmente negli anni della formazione).

Ben sappiamo quanto la nostra esistenza di per sé, necessiti di emozioni per sentirsi ‘viva’, ècco che al dunque le parole, possono avere un effetto apotropaico sul nostro comune ‘sentire’, panacea che allevia ogni male e riempie gli interstizi delle nostre reciproche diversità (di genere), colmando di benessere quei vuoti che noi stessi abbiamo avallato, permettendoci in fine quel compiacimento che, da solo, dà l’essere compresi e in qualche caso sostenuti dalle parole degli altri.

Non in ultimo vanno qui fatte alcune considerazioni di tipo filosofico, onde l’analisi di noi stessi (in particolare dei giovani protagonisti di questo libro), è speculativa del pensiero psicologico, per cui, il quotidiano entrare e uscire dalla formula d’una ipotetica drammatizzazione (tipica dell’azione teatrale), porta con sé il presumere di un dialogare con l’altro/a, nella ricerca costante di parole costruttive, per un interloquire accessibile e di reciproca comprensione.

I personaggi di questo libro, (quei giovani d’oggi che si muovono sulla scena di un teatro senza quinte), somigliano molto a certi Pupi siciliani che, entrati a far parte di un copione costruito sul ‘botta e risposta’ nel quale pur vanno costuendo la propria esistenza, sono chiamati in causa da un dialogo intelligente (talvolta fin troppo colto e zeppo di citazioni sentenziose), che li conduce verso una meta ad essi stessi ignota quanto istintiva, in cui il passato è parte di un retaggio inconscio, e il futuro sembra essere lontano e da 'non prendere in considerazione'.

Tesi questa che l’autrice di buon grado ci trasmette come forma veritiera del nostro tempo’. Si da il caso che abbia ragione lei (l’autrice) dacché il suo libro (pubblicato nel 2010), riferisce di una realtà oggettiva del qualunquismo incombente, ulteriormente trasformato da un nichilismo dialogante già presente nell’ ‘L’ospite inquietante’ (Galimberti), e nel de-costruzionismo sociale di ‘L’animale che dunque sono’ (Derrida). Sì, credo proprio che l’autrice avesse ragione, in quanto prevedeva una realtà assordante pari a quella che sta dilagando in ogni maglia del tessuto socio-culturale in cui i giovani sono chiamati a interloquire e a rispondere.

Ciò ha dello straordinario, perchè l’interlocutore (sia esso scrittore, lettore o ascoltatore), sembra non conoscere le risposte che invece sono sotto gli occhi di tutti e che non lasciano spazio alcuno al dubbio, davanti al catastrofismo cui il mondo intero va incontro. Dietro tutto questo s’affaccia però l’antica ma sempre valida speranza dell’aver compreso, in fine, ‘di quanto poco’ (o forse ‘di quanto meno’) abbiamo bisogno per sopravvivere, per riuscire a raggiungere quel ‘dialogo di pace’ e di ‘comprensione reciproca’, pur costruiti sulle parole, cui tutti in segreto agognamo.

Quel che in questo romanzo-saggio e insieme reportage-di-viaggio, l’autrice tende a rammentare al lettore è che, in fondo, lo spartiacque fra il bene e il male sta nelle scelte che facciamo. Sia che ci conformiamo ai costrutti della società in cui viviamo, sia che ci si costituisca in singolo nucleo o gruppo comunitario, la ragione per continuare a vivere è in quel ‘libero arbitrio’ in cui la nostra ‘essenza/assenza’ si barcamena: «Ancor più – come osserva Galimberti citato nel libro – in cui l’uomo non si accorge neppure, perché curiosamente la non libertà viene vissuta come il massimo della libertà.»

Ma il filosofo non si ferma qui, infatti aggiunge che: «Solo chi si munisce di un approccio sofisticato potrà de-costruire quel fenomeno di vastissime proporzioni che va sotto il nome di ‘mondializzazione’ o ‘globalizzazione’ e che non può essere inquadrato esclusivamente entro limiti tecno-economici’, come se fosse il mondo migliore possibile. (...) Dobbiamo evitare un doppio errore: il nuovismo in base al quale si crede che tutto nasce dal nulla, e il passatismo che si fa schiavo della tradizione. Del resto il mondo non (ri)nasce ogni giorno continuamente e non è senza passato.»

Al tempo stesso non possiamo credere che nulla cambi o che tutto ci sia dato, ogni cosa ha un prezzo. E come dice un altro filosofo (Bodei) citato: «È invece necessario concepire la realtà come qualcosa in movimento. Sono necessarie nuove regole nei confronti dei poteri occulti delle grandi società multinazionali, dei paradisi fiscali. È ora di strappare il velo con nuovi rigorosi controlli. (…) La globalizzazione sta riducendo il ruolo degli Stati nazionali. E tutto ciò riguarda anche la filosofia e l’etica. »

Del resto – come scrive l’autrice Marina Torossi Tevini – ‘quando spalanchi abissi, quando ti annulli per essere tutti e lasciar risuonare dentro di te gli echi del mondo, succede sempre qualcosa di irreparabile’, che traduco volentieri in ‘qualcosa di imprevedibile’ che talvolta ancora ci sorprende. Quel qualcosa che dev’essere di riferimento per ognuno di noi e che va riferito a quella ‘bellezza’ che in-illo-tempore è pur stata mortice di questo nostro mondo, come qualcosa che vorrei rammentare a tutti voi che mi leggete: ‘anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno’.

 

Marina Torossi Tevini, è nata a Trieste e laureata in lettere classiche, dedicandosi per molti anni all’insegnamento liceale. Oggi fa parte del direttivo di alcune Società culturali triestine e collabora a riviste, tra cui Arte&Cultura, Stilos, Zeta ed alla rivista web Il sottoscritto. Tra i suoi libri più recenti vanno ricordati: ‘Il migliore dei mondi impossibili’ (Campanotto Edit. 2002); ‘Viaggi a due nell’Europa di questi anni’ (ivi 2008); ‘L’Occidente e parole’ (ivi 2012). Alcune sue opere sono reperibili in rete.

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